Dalla relazione medico paziente alla relazione di cura

12/09/2016

L’origine del moderno concetto di malattia e la nascita del modello biomedico si collocano nell’atmosfera culturale del XVII secolo con la formulazione del dualismo cartesiano, in cui si assume una separazione fra mente e corpo. Si giunge a costruire le fondamenta della medicina odierna.
Solo in periodi più recenti arrivano le prime critiche al modello biomedico. Engel individua l’esistenza di un modello implicito di medicina che condiziona la pratica medica in modo determinante, definendo così il modello disease centered. Si tratta di un modello che identifica come oggetto del suo interesse la malattia, e su queste basi viene detto “centrato sulla malattia”. Il paziente è presente solo come figura ausiliaria, come portatore della malattia, depositario di informazioni e ricettore passivo delle decisioni che il medico reputa necessarie.

<< Io ero in sala d’attesa, in un corridoio e mi hanno chiesto, scambiandomi per un’altra persona: “Ma è lei la X fragile?” alludendo a una malattia genetica. “No”, ho risposto, “io non sono una X fragile! E anche se lo fossi?” Non ho capito allora e ancora non capisco come si possa identificare una persona con una malattia, non si può usare il verbo essere, perché una persona non è la malattia. >>(1)

Da qui la proposta di un’alternativa al modello tradizionale, che Engel identifica nel “modello bio-psico-sociale”(2). Modello sistemico in cui esiste integrazione tra i molteplici sistemi, micro e macroscopici e in cui anche la malattia non può essere più definita soltanto in termini biologici. Balint invece introduce la definizione di “person centered medicine”, il nodo centrale dell’attività del medico è la sua relazione con il paziente che di per se è terapeutica “il medico stesso è la prima medicina”(3). I contributi di Balint e Engel sono fondamentali per la formulazione di un nuovo modello(4). Questo implica un cambiamento di paradigma, dalla medicina centrata sulla malattia alla medicina centrata sul paziente. Nel modello patient centered hanno pari dignità sia la patologia, in senso biologico, del malato, sia il suo vissuto di malattia. Senza rinnegare, anzi riproponendo gli obiettivi del modello disease centered, la medicina patient centered aggiunge alla necessità di individuare una malattia e di trattarla, la necessità di confrontarsi con il significato, puramente soggettivo, che la malattia acquisisce nel malato che soffre. La modificazione degli scopi generali della medicina viene poi tradotta in un metodo clinico che tiene conto dell’interconnessione fra aspetti biologici, psicologici e sociali e pone come obiettivi e il trattamento della malattia e la cura del malato. Una visita medica patient centered coinvolge attivamente il paziente e garantisce che il suo punto di vista, i suoi bisogni,le sue preoccupazioni siano articolate nella relazione con il medico, al punto che la loro comprensione diviene uno scopo prioritario per l’agire del medico.
Uno dei contributi più originali consiste nell’introduzione del concetto di “agenda del paziente”(5), ciò che il paziente porta con sé e con la sua malattia. Questo diventa argomento di dialogo e confronto nella relazione di cura tra operatore sanitario e paziente.
E’ possibile identificare quattro categorie all’interno dell’agenda:

1) I sentimenti del paziente, specialmente la paura dell’essere malato.
2) Le sue idee e interpretazioni riguardo a ciò che non va.
3) Le aspettative e i desideri riguardo a ciò che dovrebbe essere fatto.
4) Il contesto familiare, sociale, lavorativo, culturale e politico.

Allargando la riflessione dal modello operativo ad una visione olistica della relazione di cura, poniamo l’attenzione non più solamente sui soggetti implicati, ma sulla relazione stessa, sulle sue dinamiche e su cosa da essa ne germina. In questa ottica ci si allontana non solo dal limitare la riflessione al medico e al paziente – includendo, da una parte tutti gli operatori, e dall’altra la cerchia di persone e affetti più vicine al paziente – ma ci si rivolge a relazioni che non si instaurano necessariamente nell’ambiente sanitario, riconoscendo così come atto del prendersi cura le relazioni sociali tra individui.
La relazione di cura porta quindi a rivedere anche il significato della malattia, che deve poter essere definita non solo in termini biologici, ma si deve alimentare di suggestioni soggettive che nascono dall’incontro e della cura, e deve tener conto di tutti quei sistemi micro e macroscopici che influenzano lo stato di salute e di malattia di un individuo. Tali determinanti di salute, come vediamo dal grafico che segue(6), si influenzano vicendevolmente condizionando a vari livelli la vita della persona.

Al centro c’è l’individuo, con le sue caratteristiche biologiche: l’età e il patrimonio genetico, ovvero i determinanti non modificabili della salute. I determinanti modificabili, quelli cioè che sono suscettibili di essere trasformati, si muovono dagli strati interni verso quelli più esterni: gli stili di vita individuali, le reti sociali e comunitarie, l’ambiente di vita e di lavoro, il contesto politico, sociale, economico e culturale. La grafica a semicerchi concentrici rivela una gerarchia di valore tra i diversi determinanti della salute. Sono i livelli più esterni, quelli che rappresentano il “contesto”, e che pesano maggiormente sullo stato di salute e di malattia. I livelli interni invece sono quelli in cui si inserisce la relazione di cura. Questa, sviluppandosi all’interno di un contesto politico, sociale e culturale, ne dovrebbe tenere conto, modulandosi e variando da relazione a relazione e da persona a persona, rappresentando così un buon catalizzatore di cambiamento per la salute degli individui.
La visione centrata sulla relazione medico-paziente è stata così collocata all’interno di un complesso sistema che intreccia le relazioni di cura, la patologia in senso biologico, il vissuto di malattia, con fattori ambientali, sociali, politici e culturali che ne influiscono l’espressione.
Si giunge così ad una concezione più ampia del rapporto di cura. La relazione non è più mezzo al fine di formulare una diagnosi. Per tradurre in pratica questo postulato è necessario quindi rimettere in discussione non solo l’assetto teorico dei modelli bioriduzionisti vicini all’idea di medicina centrata sulla malattia, ma occorre rinegoziare le pratiche che da essa originano.

Narrazione di una studentessa di medicina

<<Per me è stato decisivo l’incontro con un medico donna che ho seguito durante un tirocinio ospedaliero. Lei chiedeva sempre il permesso ai pazienti prima di visitarli e ad alcuni chiedeva anche se volevano essere visitati da me. Alla fine di ogni visita medica mi esortava: ”Ha delle domande da farmi? C’è qualcosa che vuole che le spieghiamo meglio?” Mi sentivo riconosciuta, come vedevo riconosciuti nel loro essere persone anche gli ammalati. Lei mi dimostrava che non era scontato svolgere il rituale del giro visite come lo avevo visto in altri tirocini.>>(7)

 

 

Bibliografia

1 Tratto da Medici Senza Camice, Pazienti Senza Pigiama; Sensibili alle foglie, 2013
2 Engel GL, The need for a new medical model, a challenge for biomedicine, Science, 1977
3 Balint M, The doctor, his patient and the illness, 1957
4 Rivista Family Pratice 1986
5 La visita medica centrata sul paziente; E. Moja, E. Vegni; 2000
6 Dahlgren G, Whitehead M. Policies and Strategies to Promote Social Equity in Health. Stockholm, Sweden: Institute for Future Studies; 1991.
7 Tratto da Medici Senza Camice, Pazienti Senza Pigiama; Sensibili alle foglie, 2013

Forza bimbi: tutti in acqua!L’Armonia Del Cerchio – 2017